Ho la brutta tendenza—questo lo sapete già—all’autocommiserazione. Questo mio soggiorno a Berlino, pur essendo una chicca, un dono dal cielo, a volte mi risulta difficle perché sono sola, oramai da tanti anni.
Oggi però ho avuto l’opportunità di stare vicina a due amiche che passano un momento difficile. Una abita lontano da me, ma la conosco da quasi trent’anni; l’altra la conosco da circa un lustro, ma è una compagna nuovaiòrchese di birichinate e solidarietà. (Se Dio vorrà, passeremo insieme
la sera del 4 novembre. Voglio dire, se nel frattempo l’ansia non mi ucciderà.)
Così ho smesso per un attimino di piangere su me stessa. Ho scritto una manciata di cartoline ad amici grandi e piccoli, un altro esercizio (utile e dilettevole) di de-egoismo. Poi sono uscita, prima a prendermi delle tapas (dietro l’angolo, ho speso € 7 e non sono riuscita a finirle!), poi a visitare il mercato turco.
E lì mi sono offerta del baklava. A dir vero, non mi piace granché, ma so che ci va pazza un’amica che non mi parla più. Quindi stasera ne mangio un pezzettino pensando a lei, bevendo della tisana alla sua salute, alla sua felicità, al suo successo. Vorrei che ne mangiasse con me, ma va bene così, non si spengono l’amicizia e l’amore.
E adesso? Piove. Cadono le foglie. Sussurra il vento. Dopo diversi anni di torpore (dovuto alla depressione), riprende a funzionare il mio cappoccione. Scrivo. Leggo. Faccio progetti e, a richiesta di amici (altra chicca!), traduzioni. Ho di nuovo la fiducia di poter fare, di valere, di essere utile.
Mi tengono compagnia in questo momento delle viole da gamba e un thé fumante alle spezie. Splende il crepuscolo.
Apprezzo l’istante.